Perché è importante parlare di educazione oggi?
Viviamo in una società dominata da tecnicità e consumismo: due forze che, intrecciate, promettono possibilità illimitate, ma che allo stesso tempo rischiano di travolgere ciò che siamo.
La tecnica, un tempo semplice strumento, è diventata il nostro “altro arto”: non più mezzo, ma fine. La tecnologia non media, sostituisce.
Il consumismo, dal canto suo, alimenta questa corsa sfrenata: spinge a creare senza sosta, ma anche a consumare senza misura. E così, ciò che inizialmente era al servizio dell’uomo finisce per logorarlo, trasformando il consumo in un obiettivo anziché in un mezzo.
A che cosa mira, allora, l’uomo di oggi?
Aggiungiamo un altro ingrediente fondamentale della nostra epoca: l’immagine. Creiamo per apparire, consumiamo per mostrarci capaci, forti, moderni, impeccabili.
L’obiettivo non è più essere, ma sembrare. Si inventa per superare limiti sempre più spettacolari; si acquista per mostrare di poterselo permettere.
In questo vortice, dove trova spazio l’educazione?
Torniamo alle origini.
“Educare” deriva da educere: “condurre fuori”. Implica una guida consapevole — l’adulto — e una relazione autentica con chi cresce.
Educare significa dunque:
- essere autentici,
- essere appassionati,
- condurre l’altro verso qualcosa che sta fuori, oltre, verso l’autonomia.
Ma oggi tutto questo vacilla.
L’autenticità è soffocata dalla cultura dell’apparire.
La passione è devitalizzata dal consumismo, che tutto appiattisce.
La conduzione educativa è stata inglobata dalla logica dell’immagine: ciò che era profondamente umano si è fatto astratto, vago, quasi vuoto.
E quindi l’educazione stessa si è trasformata in un concetto impalpabile: uno slogan più che un processo.
Molti adulti, pur teoricamente preparati, nella realtà sono trascinati da questo flusso culturale e faticano a proporsi come guide. Hanno paura di esporsi, di dare limiti, di “essere adulti” davvero. Così, nella relazione con i bambini — figlio-genitore, insegnante-alunno — il limite educativo scompare, sostituito dall’incertezza.
Parlare di educazione significa allora fare un passo difficile ma necessario: riconoscere i limiti della nostra epoca e i nostri limiti personali.
È complesso farlo, perché oggi ammettere una fragilità è quasi una sconfitta. E per noi educatori è ancora più arduo proporci come “guide delle guide” in una società che idolatra autosufficienza e perfezione.
Ma la domanda resta: come si può educare davvero, se l’adulto stesso è intrappolato nell’immagine e nel consumo?
L’educazione non è un intrattenimento, non è un modo per “far star buoni”.
È un percorso consapevole verso l’autonomia, che richiede un adulto a sua volta consapevole di ciò che comporta educare.
E se questo adulto fa fatica — com’è normale che sia — è un atto di responsabilità chiedere aiuto, confrontarsi, tornare alla radice del processo educativo: la relazione umana.
In sintesi:
Parlare di educazione oggi è fondamentale perché ci permette di riportare a galla ciò che rischiamo di perdere: autenticità, passione, presenza.
Sbagliare è umano; ignorare ciò che sta accadendo, invece, è profondamente pericoloso.

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