“Io, come genitore, posso permettermi di sbagliare?”
Per rispondere, è utile partire da due punti fondamentali:
- i modelli educativi,
- il senso della pedagogia.
1. I modelli educativi
Tra un genitore e un figlio — che un giorno, forse, sarà genitore a sua volta — esiste sempre una distanza: un gap generazionale.
Questa distanza non è solo anagrafica: è fatta di valori, abitudini, linguaggi, modi di amare e di educare.
Prendo me stessa come esempio.
I miei genitori hanno applicato il modello educativo che a loro volta hanno ricevuto: rigido, poco affettivo, poco comunicativo. E, volenti o nolenti, ciò che respiriamo da bambini lascia un’impronta profonda: condiziona i nostri modi di fare, il nostro sguardo sul mondo, persino ciò che consideriamo “normale” nelle relazioni.
Questo è il potere dei modelli: formano, che lo si voglia o meno.
Si cresce dentro un certo schema, e quando si diventa adulti spesso si tende a riproporlo, perché è l’unico conosciuto.
Ecco perché molti genitori, pur desiderando fare diversamente, si ritrovano a ripetere ciò da cui pensavano di essersi allontanati.
Nel mio caso, la consapevolezza di queste “falle” familiari è ciò che mi ha avvicinata alla pedagogia: una scienza che non si limita a parlare di educazione, ma che pensa l’educazione, la studia, la struttura, la riordina.
2. Il ruolo della pedagogia
La pedagogia — scienza primaria dell’educazione — ha un pregio enorme:
permette di correggere, ricalibrare e riprogettare ciò che non funziona.
Per farlo, però, serve qualcosa che spesso spaventa: l’errore.
Sono proprio gli errori, le incoerenze e le incertezze che permettono di mettere a fuoco ciò che va ripensato. L’errore non è un fallimento: è un varco, un’opportunità. È, in un certo senso, la sua magia.
Dunque, un genitore può sbagliare?
La risposta è sì.
Sì, soprattutto se non possiede ancora gli strumenti pedagogici per leggere gli atteggiamenti del bambino e il proprio ruolo educativo.
Sì, soprattutto quando ci si trova a rivedere — talvolta da zero — ciò che si è sempre fatto, senza avere un modello alternativo pronto.
E tutto questo non intacca minimamente il valore del genitore.
E allora, che cosa determina il valore di un genitore?
La sua capacità di riconoscere i propri limiti.
La sua disponibilità a farsi aiutare.
La sua apertura nell’apprendere, rivedere, cambiare.
Perché genitori non si nasce: si diventa.
E il diventare è un processo continuo, fatto di equilibrio, aggiustamenti, nuove consapevolezze.
Un processo profondamente umano.

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